Recentissima pronuncia di legittimità (Cass. Civ., ordinanza 28.11.2019, n. 31188) ritorna sulla questione spinosa del preliminare di preliminare (cd. preliminare aperto), già affrontata dalle Sezioni Unite della Cassazione qualche anno addietro (S.S. U.U., sentenza 6.03.2015, n. 4628).
In particolare, il caso oggi segnalato riguarda una proposta di acquisto di un immobile dichiarata irrevocabile (ossia tenuta ferma) sino alla stipula di un successivo preliminare di vendita, da concludersi, a sua volta, dopo il ritiro della concessione edilizia. Proposta che veniva accettata, anche se poi l’immobile non veniva trasferito in quanto appartenente a terzi.
Torna così alla ribalta il problema (particolarmente attuale nel settore immobiliare) della qualificazione giuridica e conseguente validità di un accordo di compravendita il quale rinvii ad un successivo preliminare, che la Corte ha ritenuto di poter risolvere ribadendo i medesimi principi già affermati dalle Sezioni Unite citate.
In estrema sintesi, la scomposizione di un’operazione di compravendita in una pluralità di fasi deve corrispondere ad un interesse giuridicamente meritevole delle parti, le quali, raggiunto l’accordo sugli elementi essenziali del contratto, “bloccando l’affare”, potrebbero avvertire l’esigenza di posticipare ad un momento successivo la definizione di taluni aspetti tecnici (quali la verifica della regolarità urbanistica del bene, le modalità di pagamento del prezzo, e via dicendo).
Ciò giustifica l’ulteriore articolazione della fase contrattuale.
Diversa, invece, è l’ipotesi del rinvio ad un successivo preliminare di contenuto meramente ripetitivo del primo, la quale, dando luogo ad un’inutile duplicazione di accordi, comporta l’invalidità di quello concluso per secondo. Naturalmente, si richiede un’indagine casistica che valorizzi l’autonomia contrattuale dei contraenti, ed i diversi interessi emergenti nel caso concreto.

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