Recente decisione di merito (Tribunale di Rieti, 4.05.2019) torna ad occuparsi nuovamente sulla dibattuta questione della risarcibilità del danno non patrimoniale per perdita dell’animale d’affezione, confermando l’approdo negativo della Corte di Cassazione.
In particolare, giova precisare come l’esclusione di tale componente risarcitoria dipenda da due considerazioni fondamentali.
Il primo consiste nell’impossibilità di ravvisare gli elementi costitutivi di alcuna fattispecie di reato, nella specie ritenendo insussistente l’ipotesi criminosa di cui all’art. 544 bis. cod. pen., che punisce l’uccisione di un animale per crudeltà, o. comunque, senza necessità.
Il secondo, ruota attorno alla necessità di una precisa perimetrazione del novero di quegli interessi costituzionalmente garantiti la cui lesione possa integrare un danno non patrimoniale risarcibile.
In estrema sintesi, la giurisprudenza della Cassazione (salva, dunque, qualche apertura dei giudici di merito) limita il loro riconoscimento ai soli diritti fondamentali dell’individuo, cioè “rientranti nel nucleo primigenio della persona”.
Viene così ribadita l’irrisarcibilità del cd. danno in re ipsa, o dei pregiudizi genericamente classificabili come “perdita della qualità della vita”.
(Riferimenti: Tribunale di Rieti, 4.05.2019; Cassazione civile, 23.10.2018, n. 26770).