In questi ultimi tempi di emergenza sanitaria, in cui si è emersa l’urgenza di talune misure di contenimento del contagio (finanche restrittive della libertà di circolazione), ha fatto il proprio ingresso in campo lo strumento penalistico, sub specie l’art. 650 cod. pen. La contravvenzione punisce l’inosservanza di provvedimenti legalmente dati dall’autorità per ragione di giustizia, di sicurezza o di ordine pubblico, ovvero di igiene. Trattasi di cd. norma penale in bianco, in quanto (volendo schematizzare) il legislatore si limita ad enunciare un precetto penale (i. e. l’obbligo di osservare determinati provvedimenti) senza nulla aggiungere sulla condotta vietata, la cui concreta determinazione viene lasciata al provvedimento dell’autorità.
In atri termini, fino alla emissione di quest’ultimo, il cittadino non ha praticamente modo di capire come comportarsi, non potendo ancora conoscere la condotta doverosa.

Il richiamo a quest’ultima fattispecie di reato risale al D. l.. del 23.02.2020, n. 6 (poi convertito, con modificazioni, nella legge n. 13 del 2020).
La disposizione, dopo aver previsto la possibilità di una serie di misure di contenimento del contagio da Covid-19 (incluse alcuni divieti restrittivi della libertà di movimento, quali il divieto di allontanamento dal Comune, o, simmetricamente, il divieto di accesso) la cui adozione viene rimessa alle autorità competenti, ne ha sanzionato l’osservanza ricorrendo al presidio penalistico di cui all’art. 650 cod. pen.  Si legge infatti all’art. 3, comma 4, “Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’art. 650 del codice penale.

Su questa scia, è stato poi emanato il D.P.C.M. dell’8.03.2020, che ha individuato le condotte punibili, stabilendo in concreto, le misure effettivamente applicate individuandole tra quelle enucleate in via indicativa dal precedente Decreto legge. Tra queste condotte rientrano certamente l’uscita di casa in quanto all’articolo 1 comma 1 punisce “ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute. È consentito il rientro presso il domicilio, abitazione o residenza”.

Il successivo articolo 4, comma secondo, conferma la rilevanza penale della condotta citata e incrimina la violazione delle misure appena elencate dichiarando appunto applicabile l’art. 650 c.p..

Successivamente, tali prescrizioni sono state integrate dal D.P.C.M. dell’11.03.2020, e dal D.P.C.M. del 22.03.2020, che, venendo ad integrare le condotte punibili, implicitamente confermano l’applicabilità dell’art. 650 c.p.c

Com’è noto, questa produzione normativa, nel suo complesso, ha innescato molti dubbi (in ordine soprattutto alla distinzione tra movimenti consentiti e non) ed altrettanto numerosi controlli sugli spostamenti della popolazione, culminati in diverse denunce per il reato di cui all’art. 650 cod. pen.

Gli è, però, che un simile coinvolgimento del presidio penalistico non è esente da critiche. L’architettura del diritto penale, infatti, si regge su alcune indispensabili fondamenta le quali, in ultima analisi, rappresentano il pilastro stesso di ogni società democratica, baluardi garantisti il cui rispetto è imprescindibile.

In prima battuta, a venire in rilievo è il principio di legalità, canone di derivazione illuminista volto a prevenire eventuali arbitri dello stato assoluto, poi tradotto con la celebre espressione di Feuerbach da un contesto squisitamente filosofico-politico a quello giuridico, ed infine positivizzato con l’entrata in vigore del codice penale e della nostra Costituzione.
Sintetizzando, le sanzioni penali possono essere contenute solo in una legge statale (cd. principio di riserva di legge formale), o in un atto ad essa equiparato (decreto legislativo e decreto legge, secondo un approccio formale che riflette, dunque, la gerarchia delle fonti), e non già in norme di rango subordinato, quali i regolamenti o i provvedimenti amministrativi. Né è possibile introdurre fattispecie di reato con legge regionale.
Sul punto, in merito all’art. 650 cod. pen., l’esegesi della Corte Costituzionale è nel senso di ritenere rispettato il principio di riserva di legge formale quante volte i presupposti, i caratteri ed i limiti dei provvedimenti ivi richiamati (e la cui violazione assume, allora, rilevanza penale) siano stabiliti dalla legge. Il che, effettivamente, non pare in discussione nel caso di specie.

Ciò che ci conduce al secondo corollario del principio di legalità, ossia il principio di tassatività e determinatezza della fattispecie penale.
In buona sostanza, la penna del legislatore deve tratteggiare con sufficiente chiarezza – in primo luogo con un linguaggio comprensibile – fatti realmente verificabili (ossia comportamenti facilmente immaginabili nell’esperienza di vita, e non ipotesi di scuola, o episodi surreali), in modo da consentire a chiunque il discernimento di ciò che è lecito o meno.

Ebbene, come anticipato, l’ambiguità della decretazione coronavirus ha ingenerato un vero e proprio caos interpretativo, con esiti che, evidentemente, si pongono in tensione con il summenzionato canone.

Oltretutto, v’è da dire anche che il rispetto degli accorgimenti sanitari ben avrebbe potuto essere ottenuto anche mediante sanzioni di natura diversa, eppure ugualmente idonee in tal senso (o, addirittura, più efficaci).
Di qui la violazione di un altro principio fondamentale, vale a dire quello di sussidiarietà, che limita l’intervento del diritto penale ai soli casi in cui sia impossibile il ricorso ad altri strumenti meno screditanti, in un’ottica di extrema ratio della potestà punitiva.

Alla luce di questi rilievi, quindi va salutata con favore la parziale inversione di rotta avvenuta con il D.L. 25.03.2020, n. 19 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 25.03.2020).

Tale recente norma, infatti, continua a considerare punibile penalmente chi esce dal proprio domicilio quando è in c.d. “quarantena” . Per converso l’uscita di casa non giustificata non viene più punita penalmente ai sensi dell’art.  650 c.p. ma la sanzione penale viene sostituita da una sanzione amministrativa, il cui importo potrà oscillare tra un minimo di 400,00 € ed un massimo di 3.000 €, pure con riferimento alle condotte antecedenti all’entrata in vigore del decreto.
Trattasi, pertanto, di vera e propria abolitio criminis, in virtù della quale l’inosservanza delle misure di contenimento non costituisce più reato, eccettuata l’ipotesi di violazione del divieto di allontanamento dalla propria abitazione o dimora per le persone che si trovano in quarantena (per essere risultate positive al virus), tutt’ora incriminata.

In questo modo, pare allo scrivente che l’elevato ammontare dell’esborso possa comunque garantire una soddisfacente efficacia dissuasiva, senza nel contempo lasciare andare alla deriva i pilastri portanti di una società liberale, che le (pur condivisibili ed incessanti) esigenze pratiche non possono e non debbono mai sovvertire.